17 apr 2011

Non temo i greci, temo Demostene

C'è chi ha avuto sedici anni durante la Grande Guerra, chi durante la Seconda Guerra Mondiale. C'è chi li ha avuti durante la crisi dei missili del '62, durante il maggio '68 o l'inverno del '77. Altri invece a sedici anni hanno vissuto le ripercussioni del disastro di Chernobyl o della guerra dei Balcani.
A quell'età io ho vissuto l'11 settembre, e la guerra neo-coloniale che gli Stati Uniti hanno scatenato sull'onda emotiva derivante dal primo attacco militare sul proprio territorio (Pearl Harbour esclusa).
Tutto questo non importa.
Infatti, sono convinto che per tutti i sedicenni di ogni epoca iscritti al Liceo Classico esista una sola cosa che abbia turbato realmente i propri sonni: l'interrogazione di classico greco.
Il Greco antico è la materia ostica per antonomasia, un qualcosa per cui l'espressione leopardiana "studio matto e disperatissimo" sembra coniata su misura. Spesso viene equiparato al Latino, perchè alla fine si tratta di fare per ambedue le lingue morte le stesse cose: imparare declinazioni, paradigmi e modi verbali, tradurre in Italiano. In effetti è così, se non fosse che tra imparare il Greco o il Latino corra la stessa differenza che c'è tra l'apprendere l'Inglese o lo Spagnolo. Per quest'ultimo, anche se non si è ferratissimi, magari il senso ultimo di una frase si riesce a captare lo stesso. Per l'Inglese è più difficile.
Per il Greco, difficilissimo.
Chiunque di voi abbia fatto parte di una quarta ginnasiale ricorda cosa si provi a essere messo davanti a una favola di Esopo lunga quattordici righe da rendere dal Greco all'Italiano. Avrete tutti dimestichezza con la frustrazione derivante dall'aver capito che nella storia siano coinvolte una lepre e una tartaruga, ma senza la più pallida idea di come esse interagiscano per le restanti tredici righe. Ciascuno di voi ha visto ingenuamente nel proprio "Rocci", il dizionario Greco - Italiano per eccellenza, un valido alleato per poi realizzare con amarezza che in realtà si trattava di un ostico avversario. Ciascuno di voi ha alla fine fatto di necessità virtù, optando in extrema ratio per l'ultimo e disperato strumento a disposizione di un giovane classicista in erba: la traduzione a spallate. Questa pratica, incubo di ogni professore di Greco del pianeta, si divide fondamentalmente in due pratiche ciascuna volta al raggiungimento del medesimo obiettivo: tradurre integralmente il testo che si ha sottomano, qualunque cosa succeda.
La prima pratica è la più semplice e consiste nel tradurre utilizzando la prima parola che il dizionario riporta, senza riflettere. Di solito la si utilizza quando si è impiegata circa un'ora e mezza per tradurre la prima frase del testo, senza comunque riuscire a darle un senso logico compiuto. L'alunno allora si dà per vinto, e dunque traduce in 10 minuti la restante parte senza curarsi di ciò che scrive. I maldestri lirismi che scaturiscono in questi casi hanno di solito una spiccata componente comica:

L'albero era rifugio di struzzi e altri polli...

Gli alberi più grandi crescono in una giornata...

E gli uomini faranno il tenero amore con gli animali...

Sono sicuro che questi stralci provenienti dal mio archivio privato di castronerie liceali vi abbiano strappato un sorriso, eppure vi assicuro che essi trasudano tutta la sofferenza provata dal povero studente chiamato a una sfida impari.
La seconda pratica è ancor più terribile: in questo caso il liceale crede di aver intuito, da stralci di testo che secondo la sua opinione ha tradotto esattamente, il canovaccio del passo da tradurre. Dunque cerca strenuamente di indirizzare la traduzione su quel canovaccio, facendo uno sforzo filologico sovrumano che si ripete per ogni parola resa dal Greco all'Italiano. Inutile specificare che nel 90% dei casi il senso generale individuato dall'alunno è totalmente errato, e che quindi con la seconda pratica si ottenga il medesimo risultato che si ottiene utilizzando la prima: un 3 al compito in classe.

E quello, da tutte le opere e gli autori dello stesso, tolse il nome e aggiunse le tenebre, in un qualche fulgore della sua chiarezza.

L'unica differenza è che lo studente per il proprio sforzo ha visto inutilmente la propria fronte imperlarsi di sudore e accendersi in lui un bagliore di futile speranza, mentre il professore è inorridito ancor di più, come si evince dai punti di domanda che ha disegnato calcando con la matita blu fino a spezzarne la punta.
Se dunque per un liceale lo scritto di Greco rappresenta una spada di Damocle sulla sua testa, l'interrogazione di classico greco è una sicura ghigliottina.
Lo studente è infatti chiamato a leggere metricamente un testo complesso, fornirne la traduzione, essere in grado di individuarne le particolarità grammaticali e sintattiche, contestualizzarlo attingendo alle sue conoscenze di letteratura e storia greca.
Pura fantascienza.
Da un'interrogazione del genere non si ha scampo, non si può copiare nè dissimulare. Il classico greco rappresenta in qualche modo la sublimazione del pensiero socratico: prima di essere chiamato alla cattedra tu sai di non sapere, dopo l'interrogazione lo sa anche il tuo professore.
Va riconosciuto però che i docenti di Greco non sono (o almeno, non tutti) dei sadici che traggono piacere nel vedere adolescenti arrovellarsi su un testo per loro indecifrabile. Certo, dev'essere difficile mantenere la calma quando ti viene detto che le "Filippiche" furono scritte da Filippo il Macedone.
La realtà è che il Greco risulta così difficile perchè dominarlo è come imparare a suonare uno strumento: bisogna dedicare molto tempo a impararne le basi e bisogna farlo subito, altrimenti recuperare diventa difficilissimo. Così, come al mondo è pieno di gente che dice di suonare la chitarra da anni ma poi non sa cosa sia una scala pentatonica, allo stesso modo i Licei Classici pullulano di adolescenti che studiano il Greco da cinque anni ma che magari non sanno distinguere tra un sostantivo e un verbo.
Io personalmente non ho mai amato la materia; dopo l'esame di maturità ho giurato che non avrei tradotto mai più. Non che il mondo abbia perso in tal modo un gran classicista, anche se magari i miei fratelli minori avrebbero beneficiato delle mie seppur labili conoscenze.
E' raro che uno studente ami il Greco.
Farlo è pericoloso: si rischia di ritrovarsi iscritti a Lettere Classiche.
Io, avendo a che fare giornalmente con la materia per un lustro, ho però imparato tre cose: il fatto che per ogni cosa esista un legame indissolubile tra passato e presente, di come da un'unica radice comune si possano declinare infiniti concetti e di quanto sia labile il confine tra giusto e sbagliato, tra "traduzione personale" e "traduzione errata", tra errore rosso ed errore blu.
Il Greco mi ha dato la tangibile conferma di come non importino i modi per rendere un qualcosa, l'importante è che alla fine il fiume giunga sempre al mare.




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