24 feb 2010

Il lungo addio - Parte 1

L'estate era appena cominciata, eppure il caldo era già torrido. L'asfalto ribolliva, e la città era sferzata da un vento secco. Nemico scese in garage a prendere la macchina, e tra quella che usava di solito e la vecchia cabriolet scelse la seconda. Era incredibilmente affezionato a quell’auto, anche se ormai la usava di rado. Quella vettura era stata testimone delle sue prime guide incerte, dei primi viaggi, di tante altre storie che avevano impregnato l’abitacolo del loro ricordo, fino a rendere essa stessa un feticcio. E poi, quel giorno sentiva il bisogno di aria in faccia. Accese il motore, mise su un vecchio cd e con aria solenne inforcò i suoi Ray Ban scuri. Era una giornata particolare: stava per accompagnare un amico nel suo ultimo viaggio.
Party Boy abitava in periferia, a una ventina di minuti dal centro città. Quel giorno si era alzato presto, e dopo essersi preparato con cura si mise ad attendere Nemico. Sistematosi sul divano, tamburellava insistentemente le dita sul bracciolo. Era convinto della sua scelta, ma appena si sedette venne investito da un vortice di pensieri. Si innervosì, e gli venne voglia di fumare: sperava ingenuamente che le sue paure si disperdessero assieme al fumo della sigaretta. All'improvviso sentì il suono di un clacson: riconobbe la strombazzata tipica della persona che aspettava, così prese la sua roba e uscì di casa.

Nemico attendeva in macchina, davanti al portone. Aveva abbassato la capot, e il sole batteva dritto nell'abitacolo; lui però, la fronte imperlata e i vestiti umidi, non sembrava curarsene. Perso com'era nel focalizzare ciò che sarebbe avvenuto di lì a qualche ora, rimase a fissare il vuoto finchè non gli si parò davanti Party Boy. E allora sorrise.
I due si conoscevano da anni ormai, ma Nemico non si era ancora abituato alle mise del suo compare: quel giorno indossava una maglietta smanicata rossa con in bella mostra una serigrafia di un dragone cinese, dei bermuda di jeans sfilacciati alle estremità così corti da sembrare degli shorts, ciabatte di plastica da piscina e cappellino da baseball calato troppo in giù, fino a fargli le orecchie a sventola. Sembrava un misto tra una pin-up anni '80 e un pensionato giocatore di bocce. Mentre camminava verso la macchina con la sua tipica andatura caracollante, incrociò lo sguardo di Nemico; gli sorrise, accelerando il passo.

- Ciaen! gli disse appena entrato nell'abitacolo, con la sua tipica voce gutturale e l'accento simil-tedesco che sembrava scimmiottare Sturmtruppen. Aveva cominciato a parlare così anni prima, tentando di imitare una sua vecchia professoressa del liceo. Quella strana inflessione gli era poi rimasta cucita addosso.

- Tu la devi smettere di farti vestire da tua madre... 

- E perchè? Delegare a mammà è così comodo... 

- Ho capito, ma ormai vai per i trenta e non puoi andare in giro così...

- E perchè no? Mica sto infrangendo la legge... Magari non sarò abbastanza fashion, ma se incontreremo lungo la strada qualche stilista famoso gli farò presente il problema che io certi abiti non me li posso permettere. Ricorda che sono figlio di dipendenti statali... 

- Ricordo, ricordo... Come potrei scordarmelo, lo ripeti ogni volta che ti vuoi giustificare per qualcosa...

- Giustificare? No no, è la sacrosanta verità! 


Nemico non volle continuare un discorso che sapeva essere senza capo nè coda. Accese il motore senza perdere altro tempo dato che da lì a Strawberry Fields, la loro destinazione, c'erano quasi due ore di strada.

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